Oggi vi raccontiamo una storia, la storia di Moreno, da anni agricoltore nella nostra cooperativa. E’ grazie al suo lavoro, portato avanti insieme agli altri operai, che ricaviamo gli ortaggi con cui realizziamo i nostri prodotti solidali: olio extravergine di oliva, composte di verdure e prodotti cosmetici naturali.
Ecco la bellissima intervista realizzata a Moreno pochi mesi fa dagli studenti della Scuola di letteratura e fotografia Jack London.
Moreno si piega sulle ginocchia e raccoglie una piccola zolla di terra. Se la rigira per un po’ tra pollice e indice e la fa saltellare sul palmo della mano. Nonostante sia novembre inoltrato le temperature sono ancora molto gradevoli e non piove da un po’.
La terra è fresca grazie al sistema di irrigazione a goccia che prende acqua dal pozzo e la distribuisce nell’orto dove sono state piantate le verdure.
Moreno si rialza passandosi la mano sui jeans, lasciando cadere la zolla di terra che si sfarina sulle foglie dei cavolfiori.
Si guarda attorno con un sorriso sornione, e in posa con le gambe larghe, le lunghe braccia abbandonate sui fianchi e gli occhiali da sole. Sembra davvero essere a suo agio in questo posto.
Ci troviamo a Rapagnano in provincia di Fermo, e quello che stiamo visitando è l’orto della Cooperativa sociale Tarassaco: un fazzoletto di terra coltivata a ortaggi tra la SP 239 Fermana e la contrada Santa Colomba.
Tutto attorno bifamiliari sparse qua e là lungo la strada, altri campi e il profilo delle colline in lontananza. Oltrepassiamo il confine dell’orto insieme a Moreno e ci spostiamo nel prato accanto. Qui il terreno comincia a salire con una leggera pendenza verso la fila di cipressi che un centinaio di metri più in alto segna i confini della proprietà.
“Io mi occupo di tutto il verde. Qualsiasi cosa verde è roba mia!”. Moreno è entrato nella cooperativa 6 anni fa, e da allora guadagnando esperienza e fiducia è diventato caposquadra del piccolo gruppo di operai agricoli.
Questi si occupano del “settore verde” per conto della cooperativa, dalla coltivazione degli ortaggi al recupero degli oliveti, fino alla manutenzione del verde pubblico e privato.
Mentre risaliamo insieme il pendio con il sole che ci scalda la schiena gli chiediamo della sua storia. Questa mattina, all’interno della sede della cooperativa in via Giovanni da Palestrina a Fermo, abbiamo scambiato qualche parola con lui: seduti tutti insieme in un piccolo ufficio arredato in maniera spartana Moreno ci ha detto: “Non mi è mai piaciuto starmene al chiuso in un ufficio, nemmeno quando ero in Marocco”. Riprendiamo la conversazione da qui, chiedendogli degli anni marocchini.
“Ho studiato per diventare tecnico per il controllo qualità – ci spiega Moreno – non avevo ancora 30 e stavo già lavorando negli uffici comunali di Casablanca come controllore dell’igiene alimentare”.
Ha una famiglia solida: il padre lavora come preside in una scuola assieme alla madre e hanno anche un pezzo di terra. Dopo gli anni della scuola Moreno si sposa con una sua compagna di classe.
Tuttavia si stanca presto della stabilità lavorativa, e ha bisogno di cercare qualcosa che ancora non c’è; un’insofferenza che tornerà negli anni a venire e che lo spingerà a cambiare diversi lavori.
“Non mi interessa quello che faccio: preferisco fare qualsiasi tipo di lavoro all’aperto e in movimento che restare seduto su una sedia per tutto il giorno. Questa cosa è molto più importante del lavoro in sé”.
Moreno decide allora di raggiungere alcuni parenti a Torino, è il 1991. L’Italia gli piace, non conosce la lingua ma sa che imparerà in fretta: perché non restare? È così che incontra un’amica che gli propone di lavorare come marmista nella sua azienda a Rivarolo, in provincia di Torino.
È un lavoro che Moreno non ha mai fatto in vita sua, ma decide comunque di prenderlo in considerazione e nel frattempo fa ritorno a Casablanca, dove si confronta con la famiglia. La decisione però è già presa, perché Moreno non vuole più restare in Marocco. Il padre lo benedice (“è la tua vita figliuolo, vai”), i suoi contatti in Italia preparano il contratto di lavoro e a 27 anni parte per cominciare una nuova esperienza.
Sorride, lo sguardo nascosto dietro gli occhiali da sole, e allarga le braccia come a dire è andata così, come se fosse la cosa più naturale del mondo andare in un paese da turista e rimanerci tutta la vita. Lo incalziamo, vorremo capire cosa spinge una persona a lasciare la propria casa e la propria famiglia per inseguire la fortuna in un altro paese. Moreno allarga ancora le braccia, questa volta in un gesto che sa di fatalismo religioso, un’espressione che non prevede la possibilità di replica: “Non lo so perché sono venuto qua. È stato il destino, ho seguito la mia strada, quella in cui mi ha messo Dio. Dio ti fa la strada, tu devi solo seguirla”.
Moreno ci accompagna poi al capanno degli attrezzi. Ci mostra orgoglioso gli strumenti del lavoro di tutti i giorni; esce con una carriola, sembra un giocattolo vicino a lui.
Passa quasi un anno, Moreno ormai si è ambientato in Italia, impara la lingua da solo, stringe amicizie, lavora bene, torna spesso in Marocco e intanto matura l’idea di chiedere il ricongiungimento familiare. Ma diventa sempre più forte anche la voglia di cambiare lavoro, magari anche città: ecco che un amico lo chiama da Fermo e gli dice che dove lavora stanno cercando un marmista. Moreno fa due più due, molla tutto e parte per raggiungere le Marche dove si ricongiunge con la moglie e le due figlie piccole e ha inizio una nuova vita come famiglia riunita.
Da quassù la vista si apre sul panorama, sotto di noi l’orto, poi la strada e via via le chiazze verdi degli appezzamenti di terra che si spingono fino alle colline in lontananza. “Mi piace l’aria di Fermo”: Moreno sembra aver trovato il suo posto nelle Marche, e infatti dopo aver lavorato per qualche anno come marmista ha voglia di cambiare ancora, rimanendo sempre in regione. Inizia così un periodo in cui alterna diversi lavori, finendo anche per fare l’autista di camion. Proviamo ad approfondire il discorso sulla condizione del lavoro in Italia, ma Moreno lo reindirizza sulla propria individualità caparbia, il metro di giudizio con cui guarda alle cose del mondo.
È una prospettiva da “uomo artefice della propria fortuna”, che esprime in maniera lapidaria: “Io non credo a quelli che dicono che non c’è lavoro. Se ci sai fare, un lavoro lo trovi”.
Ritorniamo all’orto, ci fermiamo vicino al pozzo e a una pila di zucche accatastate al limitare del prato. Ce ne stiamo un po’ in silenzio. Poi Moreno, guardando al suo presente, ci dice: “Ho 59 anni, il mio futuro l’ho già vissuto. Sto pensando alla pensione, e infatti nei prossimi giorni sentirò l’INPS per il conteggio dei contributi. Qui ho un lavoro, sto bene, amo questo posto. Non voglio niente, perché so accontentarmi delle cose più semplici ma più importanti. Mangiare, dormire, stare bene. Non ho problemi. È il massimo per me”.
Nel 2022 Moreno ha finito di scontare una condanna di 4 anni, espiata in regime di semilibertà. Grazie all’inserimento lavorativo nella Cooperativa Tarassaco ha potuto così intraprendere un nuovo percorso continuando la sua vita.
Grazie a progetti dedicati ed al sostegno dei donatori, oggi siamo in grado di dare lavoro e dignità a persone in situazione di disagio sociale. Un aiuto concreto con cui persone come Moreno riescono a reinserirsi nella società, ritrovando una propria autonomia, acquisendo maggiore professionalità, mettendo a frutto le proprie potenzialità e rendendosi utili per sé stesse e per gli altri.
Puoi scegliere di sostenere la nostra missione con i nostri prodotti solidali.
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Ogni piccolo gesto può trasformarsi in una grande opportunità.